In una vecchia casa di Rue Hautefeuille, a Parigi, nasce il 9 aprile 1821 Charles Baudelaire, figlio di Joseph-François, ex funzionario del Senato, e della giovane Caroline Dufays. Alla morte del marito, Caroline Baudelaire-Dufays non resta vedova a lungo: nel 1828 sposa il comandante Jacques Aupick, personaggio tanto odiato da Charles e che minerà per sempre non solo il legame con l’adorata madre ma anche il suo – già piuttosto fragile – equilibrio interno. Le cose si complicano ulteriormente quando, di ritorno da un viaggio in India, Baudelaire entra in possesso dell’eredità paterna e comincia a condurre una vita dispendiosissima e scapestrata. Convinto di fare del bene e di impartire una buona educazione fatta di sani principi, Aupick non comprende i desideri del giovane Baudelaire, sempre più votato alla poesia e non a quegli impieghi “utili alla società” che gli altri vorrebbero per lui.
«Il patrigno aveva fatto per lui sogni dorati di un brillante avvenire. Voleva vederlo salire a una alta posizione sociale. Ma quale stupore per tutti noi, quando Charles si è rifiutato di accettare quanto volevamo fare per lui ha deciso di volare con le proprie ali, di diventare autore! Che delusione nella nostra vita sino ad allora tanto felice! Che dolore!» [Da una lettera scritta da Caroline Aupick nel 1868 e destinata a un amico del figlio]
Il racconto La fanfarlo viene pubblicato per la prima volta nel gennaio 1847 sul Bulletin de la Société des gens de lettres e rappresenta l’unico scritto narrativo di Charles Baudelaire, dopo il quale rinuncia definitivamente alla prosa. Il testo, raccontato in terza persona, è firmato a nome di Charles Dufays – un chiaro richiamo al lato materno – e il protagonista è Samuel Cramer, definito come “l’uomo dalle belle opere fallite”. Proprio come il suo autore, questo personaggio manifesta contraddittorietà e dissolutezza: è un dandy che viene presentato al lettore con lo pseudonimo di Manuela de Monteverde e come tale persegue un ideale di vita senza freni, ma comunque con ideali e aspirazioni.
Samuel Cramer, che un tempo, all’epoca del Romanticismo, firmò alcune stupidaggini romantiche a nome Manuela de Monteverde, è il frutto contraddittorio di un pallido tedesco e di una una bruna cilena. Aggiungete a questa doppia origine un’educazione francese e una cultura letteraria e sarete meno sorpresi, se non addirittura compiaciuti, della bizzarra complessità del suo carattere.
Sono diverse le ipotesi che riguardano le origini del titolo La Fanfarlo: da una parte si pensa alla celebre ballerina Fanfarnou, dall’altra al Fanfare inteso come movimento. Ma chi è – o potrebbe essere – la ballerina? Anche qui, gli elementi autobiografici non mancano e rendono la narrazione ancora più suggestiva: (forse) una parente di Baudelaire stesso; (forse) l’attrice teatrale Marie Daubrun; (probabilmente) Jeanne Duval, musa dalla pelle ambrata (una doppia origine che tocca anche lo stesso Cramer) a cui Baudelaire dedica diverse poesie e con la quale vive una storia passionale e profonda. Samuel Cramer è “colui su cui risplende il sole della pigrizia” ma il suo carattere manifesta anche una natura tenebrosa – un disordine tipico del dandy – e la sua esistenza è votata all’inseguimento delle passioni e alla licenziosità.
L’intento di Baudelaire è quello di dare pari dignità ai propri versi e alla propria scrittura (“Sii sempre un poeta anche facendo della prosa”). Un obiettivo che compare anche in un altro suo poema – ripreso poi da Walter Benjamin – intitolato La perdita dell’aura: un particolare dialogo tra due personaggi che, metaforicamente, mette in scena anche il mutamento del ruolo dell’artista nella società moderna, coinvolto in una crisi dell’esistenza che pone in discussione anche il suo “lavoro” (ormai considerato al pari di tutti gli altri mestieri e, proprio come una merce, attestato in base alla capacità di vendere).
Le donne presenti in La fanfarlo sono dipinte come approfittatrici o abili manipolatrici. É il caso di Madame de Cosmelly, che usa Samuel Cramer per riconquistare il marito invaghito di un’altra donna e per riaffermare – come consuetudine del tempo chiede – se stessa nel suo status di moglie. É il caso della zia di Madame de Cosmelly, che promuoverà nella nipote sentimenti di odio e insicurezza. Ed è anche il caso della “Fanfarlo”, una “bambola danzante” sempre alla costante ricerca di essere ammirata e desiderata.
A volte la Fanfarlo gridava e rideva ad alta voce verso la platea, mentre eseguiva un balzo sul palcoscenico; si permetteva di camminare ballando. Non portava mai quelle insipide vesti di tulle, che fanno intravedere tutto e non lasciano nulla all’immaginazione. Amava le stoffe sgargianti, le gonne lunghe, chiassose, con brillantini e paillette, che bisogna sollevare con ginocchia vigorose, i corpetti da saltimbanca; quando ballava non portava gli orecchini, ma dei pendenti che sembravano quasi dei lampadari.
Nella descrizione della ballerina non solo ci sono alcuni riferimenti alla sensorialità, ma vengono ripresi sia il mito di Salomè sia la cultura letteraria e artistica dell’Ottocento, di cui Stéphane Mallarmé è un valido protagonista, dove la danza è al centro di molte considerazioni. Tralasciando per un momento il protagonista, l’aspetto dandistico non emerge solamente in Cramer/Baudelaire, ma anche attraverso il personaggio di Madame de Cosmelly, sposata con un uomo descritto come una sorta di dandy (che trascorre la sua esistenza in club e in circoli) e soprattutto con la stessa “Fanfarlo”.
Non è sbagliato pensare a un’assimilazione tra la ballerina e il dandy: la prima è una figura dove si condensa la sensualità, un’attrazione verso tutto ciò che è naturale, istintivo e forte (anche nei gusti, come con i vini e le carni pregiate); il secondo è un personaggio che deve essere autoreferenziale, fuggente, disattendere le aspettative. Sulla scia del già citato mito di Salomè, “Fanfarlo” assume su di sé l’alterità pura e un senso di inconoscibile che attrae. Cramer viene travolto e attratto prima di ogni altra cosa con gli occhi, cioè mentre la vede a teatro nelle vesti di Colombina. Un “rapimento” dell’osservatore, cui la ballerina risponde con uno sguardo ammirato e soddisfatto, che è anche all’origine di una sorta di doppio rispecchiamento.
Il risultato dell’ossessione di Cramer nei confronti di “Fanfarlo” è una sconfitta che colpisce soprattutto la sua creatività: quell’attrazione fatale lo conduce verso l’allontanamento dall’impegno intellettuale e finisce per avvicinarlo al mondo dell’utile, quello del commercio e degli affari, con il risultato di un forte inappagamento.
Ma a quel punto Samuel, preso da un capriccio bizzarro, si mise a gridare come un bambino viziato: «Voglio Colombina! Ridammi Colombina! Ridammela come mi è apparsa la sera in cui mi ha fatto perdere la testa, con quel travestimento bizzarro e il corpetto da saltimbanca!».
Una volta che Cramer riesce ad arrivare alla ballerina (inizialmente denigrata attraverso delle recensioni negative scritte ad hoc per attirare la sua attenzione), il dandy si accorge che quello che aveva sempre desiderato non era la sua essenza, ma ciò che rappresentava. Rinnega la “luce bianca” e la naturalità per volere “Colombina”: la maschera vistosa e adornata di lustrini. Vuole il suo potere simultaneamente attrattivo e respingente, il trucco e l’artificio che la avvolgono come un bellissimo involucro, la sua indefinitezza. Un culto dell’immagine e dell’osservatore che si concretizza senz’altro anche con il racconto Il ritratto ovale di Edgar Allan Poe (di cui Baudelaire è stato traduttore): in questo caso, l’artista è talmente ossessionato dall’opera d’arte e dalla rappresentazione da non accorgersi che l’amata di cui sta facendo il ritratto (perfetto) è morta, rispecchiando un po’ ciò che è impossibile avere, quello che è desiderio per se stesso (un “sex appeal dell’inorganico” dove il nudo non possiede seduzione perché tutta la fascinazione è contenuta negli abiti e negli ornamenti).
Un po’ come Baudelaire, anche Cramer paga lo scotto di sentirsi un estraneo nella sua stessa “casa”: scontento di cosa ha ottenuto, rassegnato alla scrittura di robusti e noiosi trattati di scienze e teologia (ben lontani dai sogni di gloria de Le Ossifraghe) e abbandonato al lento scorrere senza picchi della sua esistenza.
5/5
PAROLE CHIAVE
Sconvolgente: Baudelaire non era molto amato dalla società del tempo, complici alcuni temi presenti nelle sue opere – la spiccata sessualità, i “paradisi artificiali” – e i problemi familiari, dovuti perlopiù al (perduto) rapporto con la madre e alla complicata situazione creatasi con il patrigno. Non conosceva mezze misure e questa spregiudicatezza caratteriale lo ha accompagnato in tutti gli ambiti della vita, soprattutto nella scrittura. Nonostante ciò, sono stati diversi gli autori che hanno dedicato allo scrittore francese delle riflessioni positive. Paul Valery, in Situation de Baudelaire (1924), lo ha definito il pioniere della modernità (insieme a Rimbaud, Verlaine e Mallarmé); Jean Paul Sartre lo ha elogiato non solo per l’importanza che ha attribuito all’immaginazione, ma soprattutto per essere stato in grado di manifestare la propria diversità in un contesto che non gli apparteneva; il poeta Swinburne, sul versante anglosassone, ha visto nella sua poetica una grande fonte di ispirazione.
La filosofia del dandy: Ildandismo è un “modo di vivere” che diverrà famoso soprattutto con lo scrittore irlandese Oscar Wilde (1854 – 1900). Il dandy non solo tradisce le aspettative di chi lo osserva, ma è anche colui che porta con sé uno stile unico e “stupefacente”. Non è come gli altri uomini, ma un essere addirittura superiore: singolare nell’abbigliamento(più o meno stravagante), vicino sia al genere maschile sia a quello femminile e, soprattutto, raffinato sul piano morale, sociale e politico. Nell’importante saggio su Constantin Guys intitolato Il pittore della vita moderna, Baudelaire dedica un intero capitolo alla filosofia del dandy: «Il dandysmo è una istituzione vaga, bizzarra come il duello; antichissima perché Cesare, Catilina, Alcibiade ce ne forniscono esempi splendidi; generale perché Chateau-briand l’ha scoperta nelle foreste e sulle rive dei laghi del Nuovo Mondo. II dandysmo, che è una istituzione al di fuori delle leggi, ha delle leggi rigorose alle quali sono rigorosamente sottoposti tutti i suoi soggetti […].»
Tema dello specchio: Baudelaire mette in gioco l’essere come Cramer e contemporaneamente l’essere diverso da Cramer. La futura nascita dei due gemelli sarà una sorta di trasmissione, per discendenza, della scissione e della duplicità del personaggio: due rivali identici che non possono far altro che cercarsi per sempre; uno con l’altro ma anche uno contro l’altro per poter affermare la propria diversità nell’identità.
I libri nel libro: In La Fanfarlo ci viene detto che Cramer sta scrivendo dei libri e vengono citati quattro volumi. Cosa rappresentano? In qualche modo, sono le quattro aspirazioni di Baudelaire. Da una parte, attribuire questi libri al protagonista è un mettere un dito nella ferita, dall’altra significa anche indicare la distinzione definitiva tra lui e il suo personaggio dopo la scrittura di La Fanfarlo («Nell’attesa, si esercita a fare figli; ha appena partorito due gemelli. Samuel ha buttato giù quattro evangelisti, un altro sulla simbologia dei colori, un saggio su un nuovo sistema di annunci e un quarto di cui non voglio ricordare il titolo.»)Quello sugli evangelisti è il simbolo di quello che è un rimpianto di Baudelaire, cioè il non aver ascoltato la voce della verità e del vero amore. Quello sui colori metaforizza il suo culto della bellezza e dell’estetica. Quello sulla pubblicità denota la necessità, il bisogno di fama del creatore, la vanità di cui è consapevole. Quello “di cui non voglio ricordare il titolo” annuncia, in anticipo, tutto ciò che Baudelaire non scriverà, cioè tutti i suoi progetti di romanzi e manoscritti incompiuti, e anche il fatto che rinnegherà lo stesso testo di La Fanfarlo.
Samuel Cramer: Un dandy, ma anche un personaggio messo in “prigione”. Baudelaire lo prende un po’ in giro e lo sacrifica, contemporaneamente sta facendo la stessa cosa con se stesso. Questa novella finisce per rispondere alle domande che lo scrittore si sta facendo, è propedeutica. L’ironia di Baudelaire diventa in qualche modo mediatrice per lo scrittore per svariate vie da prendere: interrogarsi sul desiderio, interrogarsi sulla propria vocazione poetica.
PER SAPERNE DI PIÙ

Titolo: La Fanfarlo
Autore: Charles Baudelaire
Editore: Leone Editore
Lunghezza: 103 pagine
Prezzo: 6 euro
Trama: Pubblicato nel 1847, il racconto unisce esperienze personali e omaggi letterari, tra cui Balzac. Testo ironico, mostra come a imitare troppo la passione spesso si è poi costretti a viverla. Mettendo in scena Samuel Cramer, un dandy, uno scrittore fallito, nel mezzo di un intrigo romantico, Baudelaire gli oppone un narratore che è allo stesso tempo il suo alter ego, suo “fratello” e il suo opposto.
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