“Il Vampiro” di John Polidori: il racconto che ispirò “Dracula”

Il vampiro è il racconto di una creatura succhia-sangue che avvicina le proprie vittime con modi enigmatici e soggioganti, ma da un certo punto di vista è anche la storia dello stesso John Polidori e del suo legame – personale e lavorativo – con lord Byron. Polidori, giovane medico non ancora abilitato alla professione, giunge in Inghilterra proprio come dipendente del poeta. Tra i due i rapporti non sono idilliaci fin da subito, complice il fare un po’ arrogante di Byron. La pubblicazione del manoscritto di Polidori, che inizialmente viene dimenticato per tre anni – non fa altro che rimarcare le ombre che cominciano ad avvolgere il ragazzo: non solo perché il testo non gli viene attribuito e ricompare con il titolo Il vampiro: un racconto di Lord Byron, ma soprattutto perché il suo malessere converge in un primo tentativo di suicidio. Nonostante le grandi potenzialità, la carriera da scrittore di John Polidori non ottiene il successo sperato. Da una parte c’è chi lo critica di scrivere cose scandalose e fuori luogo (come il prelato a cui chiede aiuto prima di cadere in depressione), dall’altra c’è lo stesso Lord Byron, che continua a sminuirlo e a trattarlo in maniera supponente. Dei pesi difficili da sopportare anche per una mente brillante e sensibile come quella di Polidori, che decide di porre fine alla sua vita a soli 25 anni. “Povero Polidori, aveva intrattenuto speranze troppo ottimistiche di fama letteraria”, scriverà Lord Byron a commento della notizia, manifestando ancora una volta un’estrema – e deleteria – consapevolezza di sé.

Non è difficile leggere “Il Vampiro” come l’allegoria della storia di Polidori, un testo che è cucito sulla figura di un uomo dotato del potere di debilitare, attraverso la forza della sua personalità, l’altrui identità.

Seducente, mondano e un po’ dandy. La fortuna del Vampiro di John Polidori – che irrompe sulla scena letteraria nell’aprile del 1819 – non si deve solamente alle caratteristiche della creatura  parassitaria protagonista (le stesse che poi si replicheranno in Dracula), ma anche alla leggenda costruita attorno al romanzo: una storia che abbraccia tanti testi scritti nello stesso periodo – tra cui Frankenstein di Mary Shelley, Ode su un’una greca di John Keats, Hellas di Percy Bysshe Shelley – e un’affascinante gara di racconti gotici avvenuta in Svizzera, a Villa Diodati (per saperne di più, clicca qui). 

In verità, a inventare la figura del vampiro è stato il Settecento, ma Polidori sbaraglia la “concorrenza” e si fa artefice di qualcosa di cui non ci sono precedenti letterari: sintetizzare il ruolo del gotico in chiave moderna. Il vampiro non rappresenta affatto la paura della morte, ma per la vita; il suo obiettivo è essenzialmente quello di rinnovare la sua esistenza diverse volte, “vampirizzando” le epoche storiche che vive e cogliendone incertezze e timori. All’interno del racconto, è presentato con una carnagione pallida e modi misteriosi, mentre il personaggio di Aubrey, un giovane inglese di buona famiglia, sembra incarnare la modernità rispetto al passato.

Nel frattempo giunse a Londra un giovane di nome Aubrey rimasto, con una sorella, orfano ed erede di immense fortune sin dalla prima fanciullezza. Abbandonato a se stesso dai tutori, che ritenevano fosse loro precipuo dovere prendersi cura del patrimonio e lasciare la sua educazione a precettori venali, il giovane s’era dato da tempo a coltivare più l’immaginazione che il senno. Nutriva quei sentimenti tipicamente romantici dell’onore e del candore che così sovente si sono rivelati fatali a tante inesperte fanciulle.

Il vampiro è una creatura di immaginazione che manifesta delle idee piuttosto stravaganti. Una storia classica che la modernità vuole costruire attorno alla sua figura riguarda certamente la propensione nei confronti del male. Non a caso, nella sua natura si possono incontrare anche dei forti collegamenti alla malattia mentale (e quindi alla follia e al manicomio). In particolare, il vampiro del racconto è un aristocratico che si chiama Lord Ruthven: un personaggio in grado di suscitare simultaneamente fascino e repulsione. Polidori, nel testo, attribuisce all’aristocrazia delle qualità seduttive e perturbanti, insistendo anche sul suo carattere improduttivo e parassitario (in netto contrasto con quello borghese). Da una parte, si trova la classe aristocratica che promuove agio, “sangue” e peso sociale; dall’altra, con la borghesia, un forte legame famigliare e lavorativo. In questo contesto, il vampiro si presenta come un essere bello e impenetrabile, ma incapace di produrre qualcosa, se non altri metamorfici “consumatori” che, come lui, non si saziano mai.

Lasciata Roma, Aubrey parti per la Grecia e, attraversata la penisola, giunse ad Atene. Prese dimora presso una famiglia del luogo e si dedicò anima e corpo a ricercare le sopite vestigia dell’antica gloria in vetusti monumenti. Questi, vergognandosi di testimoniare a un popolo schiavo le imprese di uomini liberi, avevano trovato rifugio sotto cumuli di terra e cespi di variopinti licheni.

La storia ha come sfondo il viaggio attraverso l’Europa di Aubrey e Ruthven, da Roma alla Grecia; in entrambi i luoghi accadono fatti inspiegabili e misteriosi. Nella “culla della civiltà occidentale” avviene un ritorno alle rovine antiche e a quelle origini folkloristiche che affondano le radici nelle storie sui demoni e sui vampiri. Lì, l’incontro con dei briganti rozzi e barbari – l’Europa stava cominciando a cambiare proprio in quel periodo – dà modo a John Polidori di introdurre un imprevisto che comprometterà Aubrey in maniera non indifferente: un patto dove il giovane dovrà giurare di non menzionare nulla che riguardi Ruthven per il periodo di un anno e un giorno.

Seduto nella carrozza che lo trasportava fra scenari selvaggi e inconsueti, lord Ruthven tornava ad essere quello di sempre; i suoi occhi parlavano meno del suo labbro, e quantunque Au-brey avesse così vicino l’oggetto della propria curiosità, non ne ricavava altra gratificazione che non fosse quella di un costante e ardente desiderio di squarciare il mistero che avvolgeva questo uomo che cominciava ad assumere, nella sua immaginazione, un alone sovrannaturale.

Dal punto di vista erotico-sessuale, il vampiro è l’emblema di quei desideri repressi che si manifestano anche nell’insaziabile sete di sangue. Lord Ruthven “rovina” le fanciulle e “rovina” anche la loro virtù; inoltre, possiede una sessualità “polimorfa” e non definita che si manifesta anche nell’abbigliamento (che viene distinto in maschile e femminile solamente nell’Ottocento). Le sue vittime subiscono una metamorfosi e una trasgressione ai confini del genere, per questo il vampiro può essere anche considerato il catalizzatore dei tabù della cultura e della società in cui vive. Ruthven si declina in diversi ruoli: è un amico, un invitato – non una minaccia esterna come accade invece in Dracula di Stoker – e anche un “vincente” che riesce a ottenere ciò che più desidera: sopravvivere con la vita delle sue vittime alla morte.

Dopo tanti e tanti orrori, la mente di Aubrey cominciò a vacillare. Forte era in lui il sospetto che la fanciulla fosse caduta vittima della stessa mano assassina che aveva spento la vita di Tanthe. Si fece cupo e taciturno. Sua unica preoccupazione divenne quella di spronare al massimo l’andatura dei cavalli, come se stesse scapicollandosi in soccorso di una persona cara che solo lui poteva salvare.

Il vampiro, sul piano psicologico, può essere visto come una proiezione immaginaria della mente malata di Aubrey: il giovane, caduto in confusione perché incapace di salvaguardare la sorella, si autoconvince che Lord Ruthven sia in realtà una creatura soprannaturale. John Polidori è un medico e negli anni in cui scrive Il vampiro è reduce da una tesi di laurea sul sonnambulismo e la visionarietà. L’Ottocento, non a caso, è anche il secolo in cui si cominciano a indagare la mente – nascono la psicoanalisi, la psichiatria, compare il manicomio, si problematizzano le malattie mentali – e i sogni (nel 1899 viene pubblicato l’Interpretazione dei sogni, di Sigmund Freud). L’eccesso di immaginazione di Aubrey viene giudicata come una “anomalia”. In poche parole: qual è il confine tra immaginazione sana e immaginazione malata? Le forme irrazionali fanno sì che il vampiro possa essere interpretato come un “delirio paranoico”.

Dopo pochi istanti era già spirato. I tutori si precipitarono in soccorso di Miss Aubrey, ma era troppo tardi. Lord Ruthven era scomparso e la fanciulla aveva già saziato la sete del VAMPIRO!

Nella seconda parte del racconto, Lord Ruthven viene (apparentemente) colpito a morte. Durante il giuramento stipulato con Aubrey, il vampiro crea con lui una complicità mentale che manterrà fino alla fine, nel bene e nel male, non rinnegandola (seppure con qualche rimorso) neanche di fronte alla corte spregiudicata di Ruthven alla sorella. Il malessere di Aubrey è un crescendo che inizia a manifestarsi già durante il suo ritorno a Londra. Non solo prova un’angoscia e una malinconia inaspettate, ma nel periodo di follia sente anche la voce di Lord Ruthven che gli ricorda insistentemente del patto che li lega. Aubrey rifiuta il cibo, diventa errabondo, fugge come ossessionato, ha lo sguardo vitreo e il viso emaciato: paradossalmente, è solo in questo momento che comincia ad associare Lord Ruthven al vampiro, e nella sua pazzia ritrova un barlume di razionalità. Anche se forse, ormai, è troppo tardi.

4/5

SE IL VAMPIRO FOSSE UN’OPERA D’ARTE (ANZI, DUE) 

Il sonno della ragione genera mostri (El sueño de la razón produce monstruos) è un’acquaforte realizzata nel 1797 dal pittore spagnolo Francisco Goya. Nell’opera emerge soprattutto il tema dell’incubo interiore, dove le creature mostruose e sinistre guardano – e giudicano – in modo opprimente la persona addormentata.

L’incubo (The Nightmare) è un dipinto a olio su tela di Johann Heinrich Füssli, realizzato nel 1781. L’opera offre simultaneamente una visione soggettiva e oggettiva, raffigurando sia una donna che sogna (il soggetto) sia il sogno stesso (l’oggetto). L’incubo dovrebbe essere solo “materia mentale”, ma nel quadro viene rappresentato attraverso le creature in penombra che mettono angoscia.

PAROLE CHIAVE

Viaggio: Nelle leggende, il vampiro non lascia mai la sua tana (nonostante promuova l’idea dello spostamento attraverso le “trasformazioni” con il sangue delle sue vittime). Nel racconto di Polidori, il tema del viaggio diventa un modo per proporre al lettore delle mete piuttosto inconsuete e lontane dalla solita foresta della Transilvania, come l’Inghilterra, l’Italia e la Grecia.
Passato, presente e futuro: Il vampiro che conosciamo oggi nasce proprio con John Polidori, dalla sua idea di presentare una creatura che andasse ben oltre il “morso” e racchiudesse un modo di fare dandy e “ambivalente”. Molti dei temi contenuti nel romanzo si possono trovare anche in altri testi successivi, tra cui Dracula
Parassita: Per Polidori, il vampiro – in questo caso Lord Ruthven – non è solamente un morto che ritorna, ma una creatura amorale che persegue un ideale parassitario (complice anche il suo status borghese).
Morte: Un tema che compare non solamente nella figura del vampiro ma anche dello stesso autore, che più volte ha tentato il suicidio. John Polidori è stato autore di un trattato contro la pena di morte, eppure questo non è bastato per preservarlo dalle sofferenze e dall’isolamento cui lo costringevano gli altri (complice, probabilmente, la sua spiccata sensibilità).
Superstizione: Oltre al modello byroniano, Polidori fa affidamento alle antiche leggende che per anni hanno intimorito e incuriosito diverse persone (tra cui viaggiatori, scrittori, sovrani e scienziati).

PER SAPERNE DI PIÙ

Titolo: Il Vampiro
Autore: John Polidori
Editore: Edizioni Clandestine
Lunghezza: 79 pagine
Prezzo: 7 euro
Trama: L’incontro tra Aubrey, un giovane e ricco gentiluomo inglese, impregnato di ideali di purezza e onore, e Lord Ruthven, un aristocratico dallo sguardo magnetico e dal carisma indiscusso, sembra sancire l’inizio di una reciproca amicizia. I due intraprendono così un viaggio che doveva avere la Grecia come meta finale. Ma già a Roma, il comportamento dissoluto del compagno, induce Aubrey a proseguire in solitudine. Ad Atene, si innamora di Ianthe, una bella ragazza del luogo che gli racconta la leggenda, famosa in tutta la Grecia, dei vampiri. Quando la giovane muore in circostanze misteriose, tutti si mostrano certi che il colpevole sia proprio un vampiro. A seguire, un’escalation di misteri e macabre scoperte su Lord Ruthven, che si rivelerà capace di crimini atroci e riprovevoli bassezze. Un capolavoro, nato da una collaborazione fra la genialità di Lord Byron e l’invettiva di John William Polidori, che farà restare il lettore con il fiato sospeso.
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