La distopia e le “Scritture della catastrofe”

Un termine che tutti avranno già sentito – soprattutto perché è stato rivalutato moltissimo, negli ultimi anni, sia dalla cinematografia sia dalla letteratura – è certamente quello di distopia. Storicamente parlando, quest’ultima si può dire sia nata nell’Ottocento, precisamente nel 1868, ad opera del filosofo John Stuart Mill che ne coniò il termine sulla base della “cacotopìa” introdotta precedentemente (1818) da Jeremy Bentham e, allo stesso tempo, come contrario di “utopia”.

The term “dystopia” enters common currency only in twentieth century, though it appears intermittently beforehand (dys-topia or “cacotopia”, bad place, having been used by John Stuart Mill in a 1868 parliamentary debate). The flowering of the dystopian genre was preceded by a variety of satirical tropes. Francis Bacon’s scientific ambitions were brought down several notches in Swift’s famous parody in book three of Gulliver’s Travels (1726). The dystopian ideal has also been linked both historically and logically to proclamations of the “end of utopia”, and has sometimes also been wedded to the now-debunked hypothesis of the “end of history”.

Così come si legge in questa citazione scritta in The Cambridge Companion to Utopian Literature da Gregory Claeys, professore di Storia e del pensiero politico all’Università di Londra, la “distopia” non è solo un pensiero relativamente recente (emerso soprattutto nel XX secolo), ma anche un genere narrativo piuttosto disfattista che proclama la fine della storia. Per definizione quindi, la distopia è quel genere che descrive il peggiore dei mondi possibili, ossia un luogo inospitale e molto spesso post-apocalittico in cui le catastrofi, le malattie o addirittura l’estinzione del genere umano sono all’ordine del giorno ed è proprio questa connessione con la paura a essere portata all’estremo. Per via del suo prefisso “dis”, essa si pone dunque all’opposto dell’utopia e alla concezione di un luogo felice e ideale per eccellenza, descrivendo perciò uno spazio del tutto inospitale e terribile, quasi sempre flagellato da tragedie, dissesti, cataclismi o contagi di ogni tipo. Insomma, una realtà assolutamente indesiderabile. 

Innanzitutto, il racconto catastrofico porta all’estremo quella connessione con l’orrore, il terrore, la paura che è caratteristica di tutto il genere fantastico. È ciò che ci trattiene, come suol dirsi, incollati alla sedia. Ma tale piacere del negativo è, in primo luogo, prettamente esorcistico. Evocare ciò che più ci atterrisce allo scopo di scacciarlo, per ridurlo alla nostra misura e metterlo sotto controllo.

A questo proposito, il lavoro che ha svolto Francesco Muzzioli nel suo Scritture della catastrofe (2007, Meltemi Editore) è assolutamente straordinario: questo testo non è altro che una rassegna letteraria che spazia in ogni meandro del macro tema fantascienza attraverso libri e autori che hanno fatto la storia del genere. Al suo interno troveremo riferimenti a Orwell, Bradbury, Dick, Huxley, Ballard, ma anche ad autori meno noti che, attraverso i loro scritti, hanno ipotizzato scenari disastrosi e apocalittici funestati da diversi problemi. Fenomeni atmosferici, poteri dittatoriali e società iper tecnologiche sono solo alcune delle cause che hanno generato le realtà distopiche protagoniste di molti dei testi riportati in questa raccolta tutta da scoprire.

[…] É semplicemente che quel mondo dove il clima è pessimo e si rischia la morte a ogni passo non è mica poi così lontano: non è altro che il nostro mondo di oggi. Il mondo “strappato” tra superpotenza tecnologica e terrorismo kamikaze, tra la fame e la “realtà virtuale”, tra multinazionali rapaci e disperati migranti, tra capi fanatici e leaders telegenici ecc.

Leggendo quanto scrive Muzzioli si scoprirà come la fantascienza – per nome appartenente a un ipotetico futuro – può essere considerata anche una rilettura esasperata dell’oggi, e soprattutto una “intensificazione maligna” della realtà e di ciò che potrebbe diventare se trascurata all’inverosimile. Anche la sua narrativa ha un determinato tipo di logica, con eroi (spesso degli outsider) pronti a sacrificarsi per le sorti dell’umanità, un pessimismo di fondo che però vale ancora la pena di raccontare e combattere, la necessità di un cambiamento impellente che risollevi la situazione di assoggettamento in cui sono finiti la maggior parte degli uomini. L’indice dei nomi riportato alla fine del libro è  certamente un’ottima bussola per orientarsi in tutta la serie di “autori della catastrofe” che Muzzioli – con grande abilità e interesse – propone al lettore, come anche gli approfondimenti dedicati a specifici libri (Grimus di Salman Rushdie, Galápagos di Kurt Vonnegut e L’ultimo degli uomini di Margaret Atwood solo per citarne alcuni) che occupano la seconda parte del volume. La ricchezza di questo libro è anche ciò che lo rende ad alto tasso di vestibilità: adatto non solo a qualunque necessità di lettura, ma anche perfetto per chi è alla ricerca di qualsivoglia sfaccettatura del genere fantascientifico.

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4 risposte a “La distopia e le “Scritture della catastrofe””

  1. Bellissima recensione di un saggio che pare davvero molto interessante. Lo cercherò in libreria – testi così, lenti d’ingrandimento su un malessere che vale la pena investigare, devono essere letti.
    Grazie mille per il consiglio!

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    1. Mi fa davvero piacere che abbia suscitato il tuo interesse. Il libro merita davvero tantissimo perché propone tantissimi testi sul genere, ci sarà davvero l’imbarazzo della scelta!

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  2. […] via La distopia e le “Scritture della catastrofe” — La Stanza 101 […]

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  3. […] di avere una propria personalità senza risultare solo una copia ben fatta. Abbiamo imparato che la distopia possiede diverse accezioni e si occupa di affiancare al “post-apocalittico” un gran […]

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