Scrittrici femminili e pseudonimi maschili

Per molto tempo alle donne è stato impedito di coltivare qualsiasi talento, vuoi per motivi legati a una società troppo maschilista e patriarcale, vuoi per pregiudizi di altro genere. Il fatto che non potessero nemmeno pubblicare dei libri non fa altro che dimostrare quanto anche la letteratura non abbia fatto loro degli sconti: vittime, carnefici, provocanti, ma quasi mai protagoniste in primo piano. Argomenti di cui prova a parlare anche Virginia Woolf, in Una stanza tutta per sé: oltre a rimarcare i difetti di un’epoca che ha precluso alle donne di mostrare ogni possibile lato artistico – se non in segreto -, l’autrice inglese ha insistito su un aspetto importante che fino ad allora, in quel sistema chiuso e di genere, era sfuggito a tutti: la prospettiva femminile. Woolf ha cercato di rivendicare lo spazio “rosa” della cultura: non solo un posto che potesse essere la massima espressione di una mente inespressa e potenzialmente in continuo movimento, ma anche una voce in grado di alzarsi dopo secoli di silenzio e sudditanza. In questo post vi parlerò di alcune scrittrici che hanno visto le difficoltà di vivere della propria penna e hanno in qualche modo “sfidato” il pregiudizio della propria società (compresa questa), autrici che sono state costrette a farsi valere usando degli pseudonimi maschili (allontanandosi così dal proprio essere) o a rimanere nell’anonimato. Mascherare la propria origine, in un certo senso, era anche una sfida verso quei poteri forti che imponevano sempre più certi canoni di genere. Questo anche tuttora. A partire dal contesto contemporaneo con J. K. Rowling – il cui caso ha dimostrato quanto il successo dipenda pure dal nome – ritornando indietro fino a Jane Austen e Harper Lee, ecco una serie di donne che hanno fatto dei loro pseudonimi (soprattutto maschili) un enorme punto di forza.

Currer Bell, Ellis Bell e Acton Bell sono i nomi maschili scelti rispettivamente da Charlotte, Emily e Anne Brontë, utilizzati soprattutto per sfuggire ai pregiudizi e ai mores dell’epoca ottocentesca. Con questi pseudonimi scrissero Jane Eyre, Cime tempestose e La signora di Wildfell Hall, dei romanzi che ebbero un grande successo di critica per i loro temi e il loro linguaggio e che ancora oggi rappresentano dei capisaldi della letteratura classica. Paradossalmente, il fratello minore Branwell Brontë fu proprio colui che meno riuscì a godere del successo del suo status maschile: adombrato dal successo delle sorelle, infatti, visse una carriera culturale mediocre e ai margini, quasi in competizione con il mito femminile che Charlotte, Emily e Anne si erano costruite.

Harper Lee all’anagrafe è Nelle Harper Lee, ma omettendo il primo nome poteva dare l’impressione di essere un uomo. Ha pubblicato Il buio oltre la siepe (1960) in un’epoca in cui i più grandi scrittori erano maschi, ma ha anche preferito evitare che quel Nelle – nome preso da quello della nonna Ellen, scritto al contrario – fosse continuamente storpiato e pronunciato male (per scrupolo: “Nell” e non “Nellie”).

J. K. Rowling rappresenta uno degli esempi più recenti, ma anche il più controverso. La famosa scrittrice di Harry Potter si è creata la vita alternativa e maschile di Robert Galbraith proprio per sfuggire dalla famosissima saga che le ha valso un successo mondiale: l’intento era quello di dare origine a qualcosa di diverso, peccato però che il primo impatto è stato un flop (almeno fino a quando non ha rivelato di essere lei sotto mentite spoglie).

George Eliot era lo pseudonimo di Mary Anne Evans, autrice britannica famosa soprattutto per Middlemarch, Il mulino sulla Floss e Il velo dissolto. Come compagna di un uomo sposato, usò lo pseudonimo maschile soprattutto per rivendicare il suo ruolo sociale, ma anche per equiparare le sue opere alla stregua della grande letteratura del tempo (e per non farle cadere nel preconcetto che le voleva etichettare come minori).

Louisa May Alcott, la scrittrice di Piccole donne, era anche conosciuta con lo pseudonimo maschile di A. M. Barnard con il quale scrisse storie appassionanti e amorose che però non mancavano di avere colpi di scena incredibili (ne sono un esempio A Long Fatal Love Chase e Pauline’s Passion and Punishment).

Mary Shelley o anche Mary Wollstonecraft Godwin è stata un’autrice che ha lasciato il segno, soprattutto con il suo Frankenstein, un romanzo innovativo e sconvolgente che l’Ottocento faticò a concepire come scritto da una donna. Per tutti questi pregiudizi, ma anche per i riconoscimenti che tardavano ad arrivare, la Shelley fu costretta a pubblicare i suoi scritti in forma anonima o attraverso il nome del marito (Percy Shelley).

Katharine Burdekin è un esempio poco conosciuto, ma non per questo non significativo: capace di ispirare anche George Orwell (un altro scrittore in incognito perché il suo vero nome era Eric Arthur Blair), ha pubblicato Svastika Night nel 1937 con lo pseudonimo maschile di Murray Costantine.

Ann Radcliffe o anche Ann Ward è stata di certo una scrittrice carismatica e straordinaria: considerata la regina del romanzo gotico e horror, non fece quasi nulla per nascondersi, se non firmandosi provocatoriamente in anonimo giusto perché il XIX secolo non vedeva di buon occhio le donne che scrivevano di storie cruente, castelli maledetti e figure sublimi (elementi prettamente maschili). I misteri di Udolpho rappresenta sicuramente il suo migliore romanzo e la sua importanza ancora oggi è così grande da vantare influenze persino su Jane Austen, Lord Byron e Charles Dickens.

Jane Austen descrive alla perfezione l’innovazione della sua epoca, soprattutto per il suo spirito sempre sopra le righe. Ha saputo scrivere di società e d’amore con la stessa facilità con cui si compila una lista della spesa, ma con l’arguzia e la simpatia tipiche solamente di una mente geniale come la sua. La Austen non ha usato un vero e proprio pseudonimo maschile, ma dal primo all’ultimo romanzo vide in A Lady una firma con cui portare alla ribalta tutto il genere femminile e combattere quelle costrizioni che vedevano nella donna un essere incapace di certe attività. Ci pensò il fratello, dopo la sua morte, a renderle giustizia.

Nora Roberts è un altro esempio recente come quello di J. K. Rowling: è considerata la regina americana del “genere rosa”, ma con il nome maschile di J.D. Robb ha potuto anche far fronte alla curiosità di cimentarsi in generi notoriamente meno femminili (come quello giallo e fantascientifico) con cui ha dato origine alla fortunata serie di In Death.

18 risposte a “Scrittrici femminili e pseudonimi maschili”

  1. Molto interessante come articolo 🙂

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  2. Un articolo molto completo e ben scritto 🙂 Tra l’altro non ricordavo la storia di Jane Austen, ma credo di averla letto tanto tempo fa, grazie per avermela riportata alla mente 🙂

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    1. Grazie! Aspetto anche la tua parte 🙂

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  3. Questo genere di articoli mi piacciono molto, imparo sempre qualcosa di nuovo! Ben fatto! 🙂

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    1. Grazie! È piaciuto anche a me scriverlo, è stato interessante mettere in ordine certe conoscenze e accostarle a qualcosa che era nuovo anche per me. 😊

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  4. Interessante….grazie! ☺️

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  5. Grazie, sei stata molto brava. Volevo sapere se sai di qualche poetessa che ha pubblicato con pseudonimo maschile. Io non trovo. Grazie e buon tutto

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    1. Per le “poetesse” dovrei informarmi e cercare meglio; di donne scrittrici di romanzi potrei dirti altri nomi.

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  6. E dopo millenni, entrai anche io a leggere 🙂 bellissimo articolo Vale… tra l’altro adesso ho notato che il grosso degli ultimi libri che ho acquistato… tutti scritti da donne… sarà un caso? Un bacio

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    1. Le donne hanno un tocco speciale! Comunque grazie davvero, un bacio anche a te!

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  7. […] Scrittrici femminili e pseudonimi maschili […]

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